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A partire dagli anni ’90 al cateterismo diagnostico si è affiancato il cateterismo interventistico, che prevede la correzione di alcune cardiopatie come la stenosi aortica, la ricoartazione aortica, la stenosi aortica valvolare, la stenosi polmonare, alcuni difetti del setto interatriale, la pervietà del dotto di Botallo da parte del cardiologo emodinamista. Il cateterismo cardiaco come procedura interventistica viene eseguito in sostituzione o in fase preliminare all’intervento a cuore aperto (approccio combinato cardiologico-cardiochirurgico): il torace del bambino non viene aperto e non viene impiegata la macchina cuore polmone: questo riduce sensibilmente i rischi di un intervento tradizionale e limita la degenza del bambino in ospedale. La decisione medica sulla tipologia dell’intervento da eseguire è in funzione di molti fattori e talvolta alcune cardiopatie, come la stenosi aortica, può prevedere, a seconda della severità del quadro clinico, un intervento cardiochirurgico o un’angioplastica con palloncino. Per l’esecuzione di un cateterismo cardiaco, il bambino viene trasferito nel laboratorio di emodinamica: la procedura viene eseguita in anestesia generale con paziente intubato e sottoposto a monitoraggio mediante un ecocardiogramma transesofageo. Attraverso una piccola puntura praticata generalmente a livello dell’inguine, il catetere, un particolare tubicino in materia plastica con dimensioni variabili a seconda della procedura da eseguire, viene introdotto nella vena femorale e da qui raggiunge il cuore. Talvolta il vaso in cui deve essere introdotto il catetere necessita di un’apertura chirurgica con un piccolo taglio sulla cute. Nel caso di chiusura percutanea di un difetto interatriale (che in questi casi non deve superare i 30 mm), il catetere trasporta un dispositivo occlusore che consiste in una piccola protesi che ha la forma di un ombrellino o di una spirale a doppia elica: esso verrà posizionato per chiudere il difetto ed ogni manovra per il corretto posizionamento e la verifica dell’assenza di difetti residui viene seguita mediante monitoraggio ecografico.
Un filo metallico viene introdotto nella zona stenotica. Su questo filo si inserisce un catetere a palloncino che viene gonfiato con un liquido nel tratto dove è presente la stenosi, provocandone la dilatazione. (Foto: www.chirurgiatoracica.org/angioplastica.htm)
Se la correzione della cardiopatia prevede invece la dilatazione di vasi o valvole, si fa ricorso alla cosiddetta angioplastica con palloncino: il catetere trasporta un palloncino che, una volta gonfiato con contrasto diluito fino al diametro previsto, provoca l’allargamento della zona stenotica: in alcuni casi, dopo la dilatazione del vaso, è necessaria l’applicazione di uno stent, un tubicino metallico che consente il mantenimento della dilatazione. Al termine della procedura i cateteri vengono ritirati ed il vaso viene sottoposto a compressione per alcuni minuti da parte del Cardiologo per fermare il sanguinamento grazie alla coagulazione spontanea del sangue. I rischi di questo tipo di procedura sono molto bassi, con una mortalità inferiore all’1%, dovuta soprattutto al rischio anestesiologico. Per pazienti di età più adulta è possibile evitare l’anestesia generale prevista per il monitoraggio transesofageo e l’intubazione, trattando il paziente solo con anestesia locale ed effettuando un monitoraggio ecocardiografico intracardiaco, che può essere eseguito dallo stesso cardiologo. Nei casi di cateterismo intracardiaco di tipo interventistico è sempre raccomandata una copertura antibiotica ed una terapia antiaggregante per i rischi di formazione di trombi sul device, nonché la profilassi per l’endocardite batterica. Nel trattamento di alcune cardiopatie congenite una più stretta collaborazione tra il cardiologo emodinamista ed il cardiochirurgo consente la risoluzione di problemi clinici complessi, allontanando i rischi legati alla circolazione extracorporea: nel trattamento di alcuni difetti interventricolari, è percorribile ad esempio la via dell’approccio combinato: il cardiochirurgo effettua il bendaggio dell’arteria polmonare per ridurre l’iperafflusso polmonare ed il cardiologo emodinamista, una volta eseguito il debendaggio della polmonare da parte del cardiochirurgo, può procedere alla chiusura del difetto interventricolare con device. Alcuni aspetti della cardiologia interventistica sono oggi ancora sperimentali e questo tipo di procedura può essere applicata ad un numero limitato di patologie: è tuttavia indubbio che l’affinamento di queste tecniche comporterà in futuro un minor ricorso al bisturi. |
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